© John Atkinson, Wrong Hands
Come Simplified blogging, anche questa vignetta ci ricorda che in inglese molti termini informatici hanno origine da metafore (qui “rimetaforizzate”), ma anche che i neologismi semantici che ne risultano non sono sempre trasferibili in altre lingue. In italiano si ricorre spesso ai prestiti, come ad esempio browser, server, spam, home, che hanno il vantaggio di essere monosemici ma sono anche meno trasparenti perché vengono perse le analogie della lingua di partenza: alcuni dettagli in Metafore e terminologia informatica 1.
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Vedi anche: La parola Internet (la differenza di pronuncia di Internet in inglese e in italiano).
dioniso:
Me lo sono sempre chiesto perché da noi non si usano le metafore. Soprattutto da quando ho appreso dai colleghi spagnoli che loro usano parole come raton, herramienta, puerto, ecc.
Una mia personale interpretazione (magari totalmente sbagliata) è che le metafore non suonano così “fighe” all’orecchio dell’aziendale medio italiano. Vuoi mettere dire meeting, che evoca un ambiente moderno e rampante, invece di riunione, che rimanda a grigi uffici ministeriali. E quindi non hanno trovato terreno fertile né nell’essere proposte né tantomeno nell’essere utilizzate.
Per quanto riguarda herramienta e puerto, quale potrebbe essere un analogo italiano simile a herramienta per hardware? “Attrezzatura”?
Il caso di puerto lo trovo interessante. Gli ispanofoni lo hanno tradotto da “port” inglese. Noi invece ad orecchio lo abbiamo tramutato in “porta”. Che però in questo caso funziona abbastanza bene anche dal punto di vista semantico.
Licia:
@dioniso, grazie per le osservazioni. Secondo me in italiano vengono respinte soprattutto le metafore riconducibili a esseri viventi e alle loro caratteristiche o azioni, oppure quelle che potrebbero risultare un po’ troppo fantasiose o relative a oggetti con cui non si ha immediata familiarità o che si fa fatica a collegare a un ambito informatico, come potrebbe essere “muro tagliafuoco” (firewall). E ovviamente concordo con te che interviene una predilezione tutta italiana per gli anglicismi, però può anche darsi che questa impostazione con molti prestiti sia stata inizialmente influenzata, 25-30 anni fa, da un lato dagli sviluppatori abituati all’inglese senza forse conoscerne tutte le sfumature, e dall’altro da utenti in ambiti aziendali abbastanza ingessati dove sarebbe stato difficile fare accettare terminologia “fumettesca” come topo o mago o biscotto con messaggino (wizard e cookie).
A proposito di hardware, effettivamente uno dei significati è proprio “ferramenta” (cfr. hardware shop / store), nel caso dei computer però si oppone a software e quindi fa riferimento più specifico a parti “fisiche” opposte a quelle non tangibili.
Molto interessante l’osservazione su port che in spagnolo è puerto. In effetti in inglese la parola port può significare sia “porto” (dal latino portus) che “apertura” (sul lato di una nave per caricare e scaricare materiale o merci, dal latino porta); in informatica port viene spesso definito come “gateway” o “entry point”, quindi si presta ad entrambe le associazioni.
dioniso:
Grazie per l’interessante approfondimento.
Quindi secondo te è un discorso più ampio. Non siamo abituati a quel tipo di metafore.
Ho sentito spesso dire che a Galileo si deve il conio di molti termini scientifici nuovi. Non ho mai approfondito la questione ma immagino che più che metafore avrà usato neologismi generati a partire da termini greci o comunque metafore di levatura più “alta”.
Licia:
@dioniso, forse non eravamo abituati ma ora intervengono altri fattori che fanno comunque mantenere le vecchie abitudini. Riprendendo il commento di un altro post, se certi concetti e termini fossero stati introdotti recentemente, probabilmente sarebbe prevalsa terminologia più informale che invece sarebbe stata del tutto improponibile una ventina di anni fa, quando il tipo di prodotti, il contesto d’uso e l’utente tipico erano completamente diversi (discorso simile per il registro, cfr. Tu, voi o infinito?). Ma se i produttori di software commerciale o altri che introducono nuovi concetti continuano a seguire “impostazioni” che a volte possono apparire parecchio tradizionali, è perché si dà priorità alla coerenza con la terminologia esistente che impone certe scelte (entrano in gioco fattori come curva di apprendimento, esperienza utente ecc.).
dioniso:
Ho capito.
Ma la localizzazione quanti anni fa è stata introdotta?
Licia:
@dioniso, ora non ho modo di verificare, ma direi perlomeno dagli anni ’80 del secolo scorso, per poi diffondersi alla fine di quel decennio. Mi sembra che la Localization Industry Standards Association (LISA), ora defunta ma importante perché era stata la prima organizzazione a occuparsi ufficialmente di localizzazione per creare standard, fosse nata nel 1990. Tra i suoi membri c’erano tutti i principali produttori di software e altre importanti aziende in campo tecnologico.
dioniso:
Quindi le abitudini sono probabilmente nate in un era pre- localizzazione. E da quello che leggo su e tra le righe mi pare di capire che la localizzazione non ha potuto ignorare totalmente quelle abitudini e che però attraverso gli anni qualcosa sta cambiando?
Forse il mio discorso è piuttosto semplicistico. La realtà immagino sia molto più complessa.
Grazie comunque per l’interessante discussione.
Licia:
@dioniso, a proposito di abitudini che non si possono ignorare, ci sono parecchi esempi di falsi amici che sono così standardizzati che non avrebbe senso cambiarli perché ormai tutti li conosciamo in quel modo. Alcuni esempi:
– il comando save che in inglese è usato con l’accezione “mettere da parte per riutilizzare in seguito”, e non “mettere in salvo” che ha l’italiano salvare, quindi sarebbe stato preferibile conservare o qualcosa del genere,
– paragrafo,
– libreria per library,
e ce ne sarebbero parecchi altri.
Le nuove accezioni date dall’informatica si sono però diffuse così rapidamente che quando sono stati notati gli errori non avrebbe avuto senso cercare di correggerli introducendo termini più adatti perché avrebbero creato confusione negli utenti (il concetto di esperienza utente).
In effetti quando si decide cosa mantenere e cosa aggiornare intervengono molti fattori, con priorità e pesi diversi in diversi contesti, ma esperienza utente, coerenza e costi sono sempre parole chiave. E mi è tornato in mente un vecchio post, ”charm” in Windows 8, telefonini e calendari, dove c’è un commento di Marco sul cambiamento di stile in Windows Phone, che “parla” in prima persona e si rivolge all’utente con la seconda persona singolare: “Una mossa un po’ tardiva, direi. E in contraddizione con le altre linee di prodotti. A meno che vogliano usare lo stesso stile di Windows Mobile a 360 gradi in tutti i loro prodotti? Non so, questa cosa mi lascia molto perplesso”. Avevo risposto “… credo si capisca perché c’è stata resistenza al cambiamento (o meglio, all’aggiornamento di stile) pensando all’aspetto economico: ogni nuova versione di un prodotto ricicla moltissimo materiale cosiddetto legacy che rimane invariato; se però si cambia lo stile, tutte le risorse linguistiche vanno uniformate, con costi molto alti. C’è poi da considerare l’impatto sulla traduzione automatica e le stringhe e le memorie di traduzione usate per il training del sistema”.