Indicatore di posizione murino… o mouse

La prima demo del mouse fatta dal suo inventore Doug Engelbart, scomparso il 2 luglio 2013:


(“the mother of all demos”)

Può sorprendere che Engelbart dica di non sapere perché il dispositivo sia stato chiamato “topo” e addirittura possa scusarsi per il nome, ma era il 9 dicembre 1968 e all’epoca le metafore non erano ancora così comuni nella terminologia informatica, pertanto la terminologizzazione di mouse doveva apparire alquanto inusuale. 

Anni più tardi Engelbart aveva invece confermato l’analogia con l’animale, spiegando che era un nome scherzoso e provvisorio in attesa di uno più efficace (nel brevetto il dispositivo era stato descritto come X-Y position indicator for a display system). Aveva anche implicitamente smentito chi cercava di far passare mouse per un acronimo: dettagli in Non si sarebbe dovuto chiamare mouse.

In italiano si è imposto il prestito mouse sulla metafora murina, una scelta congruente alla tendenza prevalente in ambito informatico di preferire il prestito all’adozione di metafore che in inglese sono riconducibili a esseri viventi. Non è invece vero, come affermano i puristi più intransigenti, che la nostra è l’unica lingua romanza che non ha “tradotto” letteralmente il nome: nelle varietà di spagnolo e portoghese parlate in America meridionale, ad esempio, predomina l’uso di mouse, e questo rende il prestito la scelta prevalente, per numero di parlanti, nelle lingue neolatine. Dettagli in Dove il mouse è quasi sempre un topo.


Vedi anche:


4 commenti su “Indicatore di posizione murino… o mouse

  1. Marco:

    Bizzarro il fatto che in tutta la prima parte del video il cavo sia verso il basso, al di sotto del polso, mentre nei normali mouse con cavo il filo punta invece verso l’alto, oltre le dita.

  2. Licia:

    @Marco, proprio così: con il cavo “dietro” l’associazione a una coda è molto più immediata.

  3. Stefano:

    Mi ero perso “cliccare e fare clic” e mi piace la prospettiva storica che ne dai. Mi fa pensare a una polemica molto accesa che ebbi con il reparto marketing italiano che voleva farci cambiare “fare clic” in “cliccare”. A parte che non sta né in cielo né in terra che si possano cambiare alcuni milioni di ricorrenze fra software e documentazione di un termine già tradotto correttamente e coerentemente senza un motivo stratosfericamente pressante, ma ho opposto fiera resistenza all’idea che una suite di software rivolta a un pubblico eminentemente aziendale potesse usare un linguaggio sbarbo e ragazzinesco (che è quello che “cliccare” mi fa venire in mente). Sono tuttora stupito che possa essere sembrata una buona idea a una persona peraltro molto capace.

  4. Licia:

    @Stefano, Cliccare o fare clic? era stato il secondo post che avevo scritto per il blog, proprio in seguito a una discussione molto simile a quella che hai avuto tu, con conclusioni molto simili. 🙂
    Se l’azione di premere un pulsante fosse stata introdotta recentemente, probabilmente sarebbe prevalso un verbo più informale come cliccare perché è cambiata la percezione della terminologia informatica, ma qualche decina di anni fa sarebbe stato del tutto improponibile proprio perché il tipo di prodotti, il contesto d’uso e l’utente tipico erano completamente diversi (discorso simile per il registro: Tu, voi o infinito?). Ma come ben sappiamo questi “aggiornamenti lessicali” se non necessari (perché si sono evoluti i concetti o perché i termini sono diventati obsoleti o incomprensibili ecc.) sarebbero troppo costosi, creerebbero incongruenze e non avrebbero grandi vantaggi: chiunque dica cliccare non ha alcun problema a capire fare clic (a proposiito, c’era stata una breve discussione proprio su fare clic / cliccare nei commenti a un altro vecchissimo post, >Se non c’è la sfera di cristallo).

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