I media italiani fanno spesso confusione tra lingua e linguaggio nelle notizie su argomenti linguistici tradotte dall’inglese, dove invece viene usata la stessa parola, language.
Il linguaggio è la facoltà, tipica degli esseri umani, di apprendere un sistema di segni vocali con il quale produrre atti linguistici per esprimersi e comunicare.
La lingua è un sistema di segni vocali, un insieme di convenzioni fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali che regolano gli atti linguistici all’interno di una comunità etnica, politica o culturale. Italiano, turco, cinese ecc. sono lingue, non linguaggi, ed è questo l’errore di traduzione più comune nei media italiani.
Esempio: l’apprendimento del linguaggio è il processo che da bambini ci ha permesso di imparare a parlare; l’apprendimento di una lingua è il processo che ci consente di imparare un’altra lingua in aggiunta a quella o quelle che conosciamo già.
La parola linguaggio indica anche l’uso particolare di una lingua da parte di un autore o di categorie o gruppi di individui o di determinati ambienti sociali o professionali: linguaggio infantile, volgare, scientifico, burocratico ecc. Può anche denotare il particolare significato o valore espressivo attribuito a determinati gesti, segni, simboli od oggetti: linguaggio del cinema, linguaggio dei fiori, linguaggio degli occhi ecc.
Lingua e linguaggio sono doppioni o allotropi, parole di una lingua che hanno la stessa etimologia ma sfumature stilistiche oppure significati diversi. Non sempre gli allotropi hanno equivalenti nelle altre lingue (anisomorfismo), un potenziale problema nel lavoro terminologico descritto in Doppioni: doublets & doublettes!
.
Vedi anche: Esempi di “dialetti” inglesi, sulla differenza tra dialect e dialetto, e L’idioma dei giornalisti, per altri esempi di errori di traduzione frequenti nei media (nuovo post).
.
Elena:
Per prima cosa una piccola precisazione: sia le lingue che i linguaggi non includono solo le manifestazioni sonore. E’ stato ormai dimostrato da circa quarant’anni che le lingue dei segni (utilizzate principalmente dai sordi) sono lingue a tutti gli effetti… e queste chiaramente non fanno uso di suoni (nel loro caso si parla più correttamente di cheremi che di fonemi, ma l’utilizzo del termine “fonema” e dei suoi derivati è normalmente accettato anche se impreciso).
Detto questo, volevo aggiungere un esempio (abbastanza grave per le sue implicazioni) di cattiva traduzione della parola “language”: ogni volta che un articolo inglese parla di una lingua dei segni, questa viene chiamata “linguaggio dei segni”, cosa che fa a ragione imbestialire la comunità segnante, che si vede sminuire la propria lingua a semplice linguaggio… cosa che non potrebbe facilmente capitare all’italiano (“Italian language” viene più frequentemente tradotto come “lingua italiana” che “linguaggio italiano” e ci stupiremo del contrario).
Questo non si limita all’uso nei media: Vedere Voci, di Oliver Sacks (uno dei libri più importanti riguardo l’uso della lingua dei segni americana negli Stati Uniti) contiene sistematicamente questo errore in tutte le edizioni su cui ho potuto mettere le mani, nonostante il pensiero dell’autore sia chiaramente che le lingue dei segni siano, appunto, lingue e non linguaggi.
Licia:
@Elena, grazie per l’esempio e per la precisazione sulle lingue dei segni, che hanno proprie sintassi, semantica e pragmatica e quindi le stesse possibilità espressive di qualsiasi lingua “orale” (ma realizzate in modo completamente diverso da quelle a cui siamo abituati). Aggiungo un altro esempio: qualche settimana fa vari media online hanno dato rilievo al video di una bambina americana sorda di quattro anni, figlia di genitori sordi, che raccontava una storia di Natale in maniera molto dettagliata ed espressiva nella lingua dei segni americana, senza però cogliere che il punto rilevante della storia era che ad avere tali capacità linguistiche e narrative fosse una bambina di soli quattro anni, quindi una questione di età, e non che la storia venisse raccontata nella lingua dei segni americana, che è la madrelingua della bambina.