Rimanendo in tema anglicismi e politica, sotto elezioni imperversava competitor.
In inglese è una parola del lessico comune che descrive chi prende parte in una competizione, quindi “competitore” ma anche “concorrente”, “rivale”, “avversario”, “contendente”.
Non sono ancora riuscita a capire se invece nel linguaggio politico italiano competitor voglia identificare
1) un concetto specifico che non si può (?!) esprimere con nessun’altra parola del lessico, oppure se sia
2) il solito forestierismo superfluo. Qualche dettaglio:
1) competitor viene usato con un’accezione che non ha in inglese per descrivere chi si contende i voti della stessa fetta di elettorato. In questo senso, all’interno di uno spettro politico sarebbero competitor i leader dei partiti in posizioni limitrofe ma non quelli alle estremità (oppure gli altri partecipanti alle primarie di un partito). Esempi:
– Bersani: “Monti è un competitor ma non un avversario”
– Vendola: “Grillo principale competitor di Berlusconi”
– Casini: “Entrambi i poli nostri competitor”
2) competitor è un sinonimo di avversario, un anglicismo usato solo perché la parola inglese fa più effetto. Esempi:
– Berlusconi: “Miei competitor brutti, io unico bello”
– Monti: “Nessuno dei miei competitor vuole il confronto con me”
– “Berlusconi cerca il confronto tv con il suo competitor per eccellenza” [Bersani]
Qual è la vostra interpretazione, 1) concetto specifico che richiedeva una parola specifica oppure 2) il solito forestierismo superfluo?
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Aggiornamento aprile 2013 – E se si introducesse l’idea di coopetizione anche in politica?
Vedi anche: endorsement, scouting e altri anglicismi della politica in Election days…
Nautilus:
Termine usatissimo anche e sopratutto in ambito aziendale. A mio parere è un foresterismo superfluissimo: “concorrente”/”contendente” sono più che sufficienti.
Licia:
@Nautilus, anche a me sembra che in ambito economico, e quindi anche aziendale, competitor e concorrente siano sinonimi. E per essere più specifici ci sarebbe diretto rivale, che mi sembra andrebbe bene anche in tutti gli esempi al punto 1. Forse mi sfugge qualcosa del concetto politico!?!
Luca:
Ciao Licia,
a Roma c’è anche il “competitor di una competizione” 😀
“Incassato l’appoggio (o endorsment, che fa più cool) di Umberto Marroni, altro competitor di questa competizione che oggi ha ritirato la sua candidatura, Sassoli procede spedito verso il 7 aprile, data scelta per consultare i cittadini e decidere chi dovrà sfidare Alemanno”
http://www.huffingtonpost.it/matteo-marini/quando-cambiare-roma-e-capitale-anche-nellambiente_b_2952048.html
Licia:
@Luca, bell’esempio di competitor con significato generico che potrebbe essere sostituito con una parola italiana tra le diverse a disposizione. Ma qui è una gara tra lessico italiano e forestierismi, e vince la cacofonia!
PS endorsement sarà anche più cool, ma almeno provare a scriverlo correttamente?!?
[c]*:
no, competitor non è semplicemente concorrente. il competitor è quel che di fatto il mercato ti mette contro, ed è il tuo reale avversario. il concorrente si può inscrivere alla gara, ma potrebbe non arrivar mai ad essere un competitor. il competitor è quel che emerge durante la gara, perché è solo lì che si vede che gara sta facendo e contro chi sta correndo. so, magari viene usato a sproposito, ma è un concetto, che come accade spessissimo, in italiano non esiste. ce la caviamo dicendo sono sinonimi, peccando di imprecisione.
Licia:
@[c]*, grazie per il contributo. Mi sembra però che il concetto che descrivi sia già espresso in italiano dalla parola concorrente, anche da un punto di vista etimologico (dal lat. concurrĕre “correre insieme”, “gareggiare”). Se si fa doppio clic sulla parola concorrente si può vedere la voce del vocabolario Zingarelli, dove vengono chiarite alcune sfumature di significato:
In inglese competitor è una parola del lessico generico, con un significato molto ampio, quindi sarebbe interessante capire cosa ha portato al notevole restringimento di significato che gli attribuisci in italiano in contesto economico o che sembra avere ora nel linguaggio politico (significato 1 nel post).
Il problema di questi prestiti (forse potremmo parlare di pseudoprestiti) è quello che i terminologi chiamano indeterminatezza, e cioè vaghezza (per chi conosce l’inglese, competitor non identifica alcun concetto specifico; per chi non lo conosce, è difficile attribuire un significato preciso a una parola così simile all’italiano competitore) e ambiguità (cfr. le diverse interpretazioni 1 e 2 nel post; anche il significato che ci hai descritto non è condiviso da tutti i parlanti).
Riccardo:
Per quanto riguarda le parole straniere in italiano, l’approccio migliore è di condannarle come opzione predefinita. Sta a chi le usa portare argomenti convincenti a dimostrazione della loro presunta necessità.
Nel caso di competitor, questi argomenti non ci sono.
Il peggio è quando, come qui sopra, si tenta di assegnare alla parola straniera un significato o una sfumatura di significato che non esiste nella lingua originale (vedi, ad esempio il “mobbing” italiano).
Competitor, in inglese, significa quel che concorrente significa in italiano; se si vuole un termine per “…quel che di fatto il mercato ti mette contro, ed è il tuo reale avversario” si potrebbe ad esempio, dire “reale avversario”. Se in politica serve (ne dubito) un termine diverso da concorrente per indicare, che so, un avversario che appartiene allo stesso partito, meglio usare una circonlocuzione opportuna, invece che usare a sproposito un termine preso in prestito da un’altra lingua.
Competitor è, come è di solito il caso per i nuovi foresterismi, solo un simbolo del degrado dell’istruzione in Italia. Ignoranza schietta mascherata da conoscenza delle lingue straniere, insomma.
Licia:
@Riccardo, ho notato competitor e scouting perché li ho sentiti ripetere in notiziari radio dove venivano usati come se tutti ne conoscessero il significato. Mi è sembrata una mancanza di rispetto nei confronti degli ascoltatori e anch’io mi convinco sempre più che questo uso disinvolto di parole inglesi sia inversamente proporzionale all’effettiva padronanza dell’inglese (e spesso anche dell’italiano).
Sull’argomento mi sono dilungata abbastanza in L’invasione degli anglicismi e non aggiungo altro. 😉
Nautilus:
Credo che in politica il termine “competitor” abbia poco senso, a meno che non venga impiegato come sinonimo di “avversario”; a mio modo di vedere, tuttavia, questa interpretazione è errata.
In politica ci sono solo avversari (ed eventualmente alleati). E, sopratutto, esiste un sistema di regole certe in termini di quella che è la competizione elettorale, i suoi tempi e i suoi esiti. Lo scopo di ogni formazione politica (o raggruppamento/coalizione) è quello di battere l’avversario e conquistare il governo del Paese. Dunque, alla fine, e per la durata della legislatura (salvo imprevisti), esiste un vincitore e un vinto. Dopo un certo numero di anni (variabili da sistema a sistema e da Paese a Paese) si ricomincia una nuova partita, ci sarà un nuovo vincitore e uno o più sconfitti.
A volte si può essere avversari anche nell’ambito dello stesso partito. Dopo la famosa “notte delle scope” è iniziato un percorso che ha portato Bossi e Maroni a essere avversari. Giunti alla segreteria federale, si è arrivati alla determinazione di un vincitore (Maroni) e di uno sconfitto (Bossi). Stessa situazione in occasione delle primarie del PD. A differenza di quanto accaduto in Lega, però (e questa la si prenda come una mia posizione personale), dalle primarie è uscito il vincitore “sbagliato” e ha perso una persona di cui il Paese avrebbe avuto più bisogno. In ogni caso queste sono state le regole del gioco.
In economia, invece, più aziende competono tra loro contendendosi le stesse risorse/clienti. Non c’è però un sistema di regole che porti ad avere vincitori e vinti in tempi e modi prestabiliti. Si corre tutti insieme uno contro l’altro con lo scopo di spuntare le condizioni migliori, senza però ragionare in termini di “distruzione” dell’avversario. Tanto che, di solito, in questo ambito il termine “avversario” non viene nemmeno usato. Inoltre le aziende competono su più fronti e lavorano, anche simultaneamente, su obiettivi che possono essere diversi: si può essere interessati alla quota di mercato, al fatturato, all’utile, al tasso di crescita, ecc. Un’azienda può mantenersi su piccole dimensioni e puntare, ad esempio, a un elevato livello di profitti.
In pratica, nell’ambito di un sistema economico di tipo concorrenziale, si nota – come elemento saliente – un fattore di “coesistenza” dinamica e non un binomio vinti/vincitori.
Licia:
@Nautilus, grazie per i contributo. Sarei curiosa di sapere se di qui a qualche anno nella politica italiana si continuerà a sentire parlare di competitor oppure se scomparirà, l’ennesima “parola di moda” di cui tutti si riempiono la bocca in certi periodi.
PS Aggiungo il link a Se c’era Renzi, il risultato delle primarie del PD come spunto per alcune note su come viene realizzato in italiano il periodo ipotetico dell’irrealtà.
Nautilus:
Il “Se c’era Renzi” sono riuscito a leggerlo solo ora e l’ho trovato davvero simpatico (oltre che interessante!).