La puntata di ieri di La lingua batte (Radio3 Rai) ha esaminato Pregi e difetti del politicamente corretto partendo dal concetto di tabuizzazione, il meccanismo per cui espressioni inizialmente non marcate e non offensive diventano inaccettabili e vengono sostituite da altre ritenute migliori.
Molto interessante l’intervista con Federico Faloppa in cui è stato evidenziato che la “moda” del politicamente corretto è stata importata dagli Stati Uniti “nella sua fase più deteriore ed esasperata” e quindi presenta vari aspetti criticabili. Può apparire come un tentativo di attenuare una realtà che appare fastidiosa o che si vuole nascondere, una versione aggiornata dell’eufemismo che può far comodo alla politica, però impone anche di fare alcune riflessioni sul rapporto tra lingua e cambiamenti sociali.
Per Faloppa la ricerca di alternative a espressioni che nel tempo hanno assunto connotazioni negative fa parte dell’economia linguistica. Le nuove definizioni formali non possono certo cambiare i fatti, però si può notare che rispetto ad alcuni temi questa “ristrutturazione terminologica” segue l’aggiornamento del pensiero politico, scientifico e sociale: la parola handicappato, ad esempio, si riferiva all’intera persona, definita per una sua mancanza e menomazione, ma in seguito al riconoscimento che l’handicap “non è una situazione ontologica ma circostanziale”, legata a cause, patologie e anche a un contesto sociale preciso, si è avuta la necessità di espressioni diverse che mantenessero chiarezza semantica ma che recepissero l’idea che una persona non può essere individuata soltanto per quello che non funziona. Altri esempi, ascoltabili nel podcast, sono immigrati di seconda generazione e il binomio zingaro / nomade.
Il politicamente corretto può quindi rappresentare un tipo di variazione diacronica che va monitorato attentamente da chi si occupa di terminologia e di traduzione, in particolare nell’ambito delle scienze umane.
Variazione diacronica: tendenze nell’uso di handicappati, disabili e diversamente abili rilevate nel corpus di libri italiani di Google Ngram Viewer, cfr. Radiografia delle parole.
Nel resto della puntata, molto piacevole anche Vorrei la pelle nera, esempi di canzoni italiane politicamente (s)corrette. Non mi hanno invece convinta gli interventi di Cecilia Robustelli e Fabiana Fusco sul sessismo nella lingua, “l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne che si palesa nell’uso della lingua”, perché sono stati limitati quasi esclusivamente al solito discorso sui nomi di professione, senza però fare alcuna distinzione tra genere grammaticale, naturale e sociale, e quindi mi è sembrato che prevalesse la connotazione ideologica su quella linguistica. Ma forse sono prevenuta: come dicevo in Genere e linguaggio, io non sono contraria al maschile con valenza neutra.
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La puntata del 23 marzo di La lingua batte si può ascoltare in podcast.
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.mau.:
su, (re)inventiamo i nomi neutri con desinenza in -u!
Silvia Pareschi:
Proprio ieri sera parlavamo della vecchia classificazione dell’IQ Range, che andava da:
70-80 Borderline deficiency
50-69 Moron
20-49 Imbecile
below 20 Idiot
Pensa se questi termini venissero usati oggi!
Licia:
@.mau., u sindacu?! 😉
@Silvia, ottimo esempio, che però mi ha fatto venire una curiosità di cosa salterebbe fuori se chiedessimo di classificare aggettivi di stupidità italiani in base alla loro intensità: penso ne risulterebbe un ordine alquanto soggettivo.