Vignetta: Rhymes with Orange by Hilary Price
In un commento su un inesistente problema di congiuntivo (qui) ho rivisto la parola talebano della grammatica. Mi ha fatto pensare agli equivalenti inglesi grammar nazi e grammar police (cfr. Integralisti della lingua inglese) e a due interventi che ho letto recentemente.
Linguistic cleanliness – will we ever accept variation and change? riassume una ricerca che analizza le motivazioni di chi critica pubblicamente forme non ritenute aderenti a uno standard linguistico di riferimento. L’atteggiamento purista riguarderebbe solo apparentemente problematiche linguistiche ma sarebbe in realtà dettato da ansie e timori di natura sociale. L’opposizione all’inglese americano da parte di australiani e inglesi, ad esempio, avrebbe alla base insicurezze di tipo culturale, politico ed economico nei confronti della superpotenza americana. Ci sarebbe inoltre chi ha la percezione che un linguaggio scorretto, quindi non rispettoso delle regole, mascheri un comportamento potenzialmente disonesto e per questo vi si opponga strenuamente.
Translators as Language Police afferma che chi ha fatto studi linguistici non dovrebbe mai etichettare come “scorrette” forme diffuse ma non conformi al proprio standard perché dovrebbe sapere che le regole a cui si fa riferimento sono delle convenzioni, a volte arbitrarie, stabilite da grammatici e lessicografi per standardizzare e facilitare la comunicazione, soprattutto scritta, ma che non tengono conto della continua evoluzione della lingua parlata. Varietà linguistiche e socioletti diversi ci possono apparire strani o sbagliati solamente perché non ci appartengono ed eventuali reazioni negative rifletterebbero pregiudizi “tribali” e insicurezze di fondo. In quest’ottica, l’autore si stupisce che tra i traduttori ci siano veri e propri integralisti della lingua: There is an unfortunate and persistent undertow of Grammar Nazism among working translators that is puzzling, confounding and deeply troubling.
Alcune affermazioni possono apparire drastiche ma credo anch’io che sia utile pensare alla lingua in termini di comunicazione e quindi accettare le innovazioni che la facilitano, con le dovute cautele su quelle che invece la penalizzano, come gli forestierismi superflui, specialmente in ambito istituzionale.
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[Altri dettagli ed esempi nei commenti qui sotto]
Vedi anche: Grammatica, variabilità e norme interiorizzate, un post sulle norme letterarie codificate nel tempo che impediscono di prendere atto delle variazioni che inevitabilmente subisce una lingua, con alcune note su italiano standard e italiano neo-standard.
.mau.:
mah, se io dovessi tradurre un testo con una frase sgrammaticata userei una frase sgrammaticata anch’io, non vedo il problema 🙂
(beh, il problema è trovare la sgrammaticatura “equivalente”, d’accordo)
Licia:
@.mau., il titolo completo del secondo articolo è Translators as Language Police: A Linguist Explains Why Some Translators’ Persistent and Puzzling Grammar Nazism is Spectacularly Bad Linguistics (!) e in effetti in alcuni punti sembra un po’ una crociata, però ci sono spunti e riferimenti interessanti. La critica ai traduttori riguarda comunque l’atteggiamento talebano al di fuori del contesto professionale:
Grammar jihads by well-meaning but deeply mistaken armchair pundits – and some translators in our industry – are based on an arbitrary and ever-changing set of rules […] Unfortunately, language professionals in day-to-day life today often find themselves engaged in an internal cognitive battle against endless years of damage caused by these misguided “purists” telling them that there was one “correct” way of speaking or writing, and everything else was wrong.
Nei commenti viene chiarito il punto di vista:
[…] the real problem comes when translators and other language professionals take the rigor of standards out of the context where they belong (such as [your] editing of a publication-ready text) and shove them into everyday life where the conventions on language use are dramatically different.
Mara:
Non avrei mai pensato di fare outing sul tuo blog, Licia, ma eccomi qui. Sono una talebana della grammatica. 😀
Lo dichiaro pubblicamente. Allo stesso tempo vorrei fare una difesa della categoria (dei talibani intendo, non dei traduttori).
Non credo sia la professione di traduttore che renda così rigorosi verso la scrittura. Non ho mai condiviso i commenti e il punto di vista dei colleghi che criticano quello che traducono perché scritto male. Nel mio caso è il lavoro di editor a portarmi verso il ruolo di cane da guardia (oltre a una certa rigidità di carattere secondo alcuni ).
Io non ho dubbi che la lingua sia in movimento (odio il termine famigliare e uso il più “recente” familiare) e che le regole sono spesso convenzioni. Parliamo di lingua, non di fisica.
Allo stesso tempo nel comunicare – se si vuole essere chiari – si deve evitare una serie di ambiguità ma anche semplicemente di scelte. Comunicare è anche mantenere uno stile, quello da te deciso, non imposto dall’altro. Sempre di una linea editoriale si tratta.
Solo la scrittura creativa o il marketing si può permettere il gioco. Qui entra in gioco, come dice correttamente .Mau, la decisione di come rendere “l’errore” in altra lingua. (Qui però più che il bigottismo di alcuni traduttori letterali entra in gioco quello dei redattori. Difficile stabilire di chi sia la colpa di alcune scelte linguistiche.)
Forse siamo anche colpevoli di snobbismo o forse, più probabilmente, siamo incapaci di trattenere certe tendenze da ossessivi compulsivi 😀 C’è chi controlla più volte se ha chiuso la porta, c’è chi controlla più volte le forme verbali altrui…
Mauro:
Parliamo di lingua, non di fisica.
E chi lo dice che la fisica sia fissa e immutabile, che non sia in movimento, che anche in essa non vi siano convenzioni?
Io, fisico, non lo sosterrei mai, per esempio 😀
Saluti,
Mauro.
Licia:
Grazie Mara e bentornata!
Credo che la mia risposta a .mau. e il tuo commento si siano incrociati, ma sono del tutto d’accordo con te che nei contesti professionali è fondamentale attenersi alle linee guida e alle convenzioni stabilite. Prima di riassumere i due articoli avrei dovuto specificare che per talebano della grammatica e grammar nazi si intende chi abitualmente, ripetutamente ed esplicitamente critica e corregge la grammatica altrui, in particolare in contesti informali dove le correzioni non sono rilevanti ai fini della comunicazione.
Anch’io ho molte idiosincrasie linguistiche (ad es. ho una vera e propria avversione per *pò e per gli anglicismi con la s al plurale, come *computers), però se vedo questi errori nei commenti che leggo in rete mi guardo bene dall’intervenire nella discussione per farli notare, quindi non mi sento una talebana della grammatica (e dubito che tu possa esserlo!) :-).
A questo proposito mi piace molto la vignetta di xkcd che appare spesso nelle discussioni sull’argomento, specialmente il riferimento alle “tacche” nel testo aggiuntivo che appare al passaggio del puntatore:
Aggiungo un esempio che avevo fatto tempo fa qui perché è coerente con i riferimenti alle varianti linguistiche locali fatti da Translators as Language Police: in Romagna rimanere è un verbo transitivo (ad es. si dice devo andare al Bancomat perché ho rimasto solo 10 euro). È una forma influenzata dal dialetto che lascia sconcertati i non romagnoli ma probabilmente in loco non va considerato errore ma semplicemente una varietà regionale perché è una forma condivisa praticamente da tutti i parlanti “autoctoni”.
.mau.:
“ancora una volta ho rimasto solo”!
(agevolo link YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=Se616Cjx7To )
Licia:
@.mau., questa forma mi mancava! 🙂
In Romagna rimanere è usato in modo diverso, sempre seguito da un complemento oggetto. Esempio: in un negozio di abbigliamento una commessa a Milano direbbe mi spiace, mi sono rimaste solo taglie grandi e in Romagna invece mi spiace, ho rimasto solo taglie grandi.
Lele:
@Mara,
Eccomi, sono il talebano della talebana.
talibani -> talebani;
alcuni ). -> alcuni).
che la lingua sia (…) e che le regole sono -> che la lingua sia (…) e che le regole siano
.Mau, -> .mau.,
in altra lingua. (Qui però -> in altra lingua (qui però
alcune scelte linguistiche.) -> alcune scelte linguistiche).
snobbismo -> snobismo
ossessivi compulsivi C’è chi -> ossessivi compulsivi. C’è chi
🙂 Scusate tutti, era solo un gioco.
Da bambino volevo fare il correttore di bozze…
Rose:
“Errorist” è bellissimo! 😀
Silvia Pareschi:
E’ tutta una questione di equilibri e di decisioni prese con consapevolezza. I traduttori devono saper usare la lingua “sgrammaticata” se il contesto lo richiede, e devono anche inserire nella loro costante attività di aggiornamento l’ascolto della lingua parlata nei suoi vari stili, dal ragazzino sull’autobus al politico alla radio. Io trovo i talebani della lingua francamente noiosi quando stigmatizzano gli usi scorretti altrui, e a rischio di rigidità quando applicano troppo quei principi su di sé. D’altronde gli integralismi di ogni genere non sono mai un sintomo di flessibilità, no?
Licia:
@Lele, non farai per caso parte dello zoccolo duro di quel forum descritto come “spazio di discussione sulla lingua italiana”, e sei qui sotto mentite spoglie? 😉
@Rose, anche a me diverte molto, anche se non è un’idea nuova. Anni fa, ai tempi di George W. Bush e la sua War on terror avevo visto anche delle vignette sulla War on error. 😀
@Silvia, sono d’accordo, e anche l’autore dell’articolo contrasta proprio la flessibilità richiesta in ambito professionale con la mancanza di flessibilità “fuori contesto”.