Dopo il post di ieri, devo ammettere che anch’io sono una vittima di un particolare tipo di click bait: se nelle home page di alcuni media italiani vedo le firme che associo a notiziole tradotte goffamente dall’inglese, spesso apro gli articoli per vedere che errori ci sono.
In inglese click bait descrive un’immagine, un titolo o un link di una pagina web che attira l’attenzione dei lettori che, “adescati”, ci fanno clic sopra. Lo scopo più comune degli “acchiappaclic” è quello di generare traffico, ad es. verso pagine con pubblicità, ma possono esserci anche finalità fraudolente.
Altri tipi di esche (bait) digitali sono post, messaggi o altri contenuti pubblicati sui social media con immagini o video scelti appositamente per indurre chi li vede a condividerli (share bait) o, per chi usa Facebook, a premere il pulsante Like / Mi piace (like bait).
Vedi anche: Phishing: truffa, spillaggio, abboccamento? (il più noto esempio della metafora del prendere all’amo in un contesto web).
Mauro:
Mi stai dicendo in maniera subliminale che non devo più cliccare su Terminologia? 😉
Saluti,
Mauro.
Nautilus:
Alcune di queste esche nascondono immagini repellenti o suoni/rumori inattesi sparati a volume altissimo (o, peggio ancora, una combinazione delle due cose). Tuttavia non so dire se in questo caso si utilizzi un nome specifico per descriverle.