Una mia previsione sulle elezioni presidenziali americane 2012: in alcuni media italiani aumenteranno i riferimenti alla narrativa. Qualche esempio recente:
La narrativa di Romney si richiama soprattutto al valore del fare impresa e del correre il rischio.
In questi 60 giorni prima del voto Obama ha ancora la possibilità di imporre la sua narrativa.
Biden è diventato un attore fondamentale, anche se il suo ruolo nella narrativa elettorale è completamente diverso da quello di Ryan.
Non vuol dire che i candidati americani si stanno dando alla letteratura ma, più banalmente, che ci sono giornalisti italiani che raccontano la politica americana prendendo spunto da testi in inglese e tra loro c’è chi stenta a riconoscere un falso amico.
In italiano, narrativa descrive un genere letterario e l’insieme delle opere di una specifica produzione letteraria.
In inglese, narrative non condivide l’accezione italiana (il genere letterario è coperto in parte da fiction) ma ha significati diversi: indica l’esposizione o il racconto di una sequenza di eventi tra loro concatenati, il processo di narrazione o, in un’opera letteraria, le parti in forma non dialogica. Ha anche un significato più recente, molto usato in ambito giornalistico:
“a representation of a particular situation or process in such a way as to reflect or conform to an overarching set of aims or values: the coalition’s carefully constructed narrative about its sensitivity to recession victims”
[Oxford English Dictionaries]
In questa accezione, narrative rappresenta un concetto particolare che non ha un equivalente in italiano: è una forma di comunicazione con un’esposizione argomentata che riflette coerentemente una visione, dei valori e degli obiettivi.
C’è chi rende narrative con narrazione, a volte evidenziando la parola tra virgolette o con l’iniziale maiuscola (?), una scelta forse non del tutto efficace perché penso che si tenda a interpretare narrazione come sinonimo di [esposizione di] “racconto” o “storia”, quindi concetti molto più generici. Un esempio:
Michelle Obama ha trovato il tono giusto per parlare ai delegati, come agli americani che erano davanti al televisore. Li ha convinti con la narrazione di un uomo che sa quali sono i problemi di ogni famiglia che fatica ad arrivare alla fine del mese, che sa di doversi indebitare per tanti anni se decide di mandare il figlio all’università […].
Confrontatelo con un esempio simile in inglese:
Michelle Obama was the overwhelming star of Tuesday night’s Democratic National Convention, delivering a powerful personal narrative about her husband still being the same deeply principled man she fell in love with 23 years ago when they were both broke and watching their families struggle.
Non mi sembra che i dizionari bilingui registrino questa accezione di narrative e quindi diano suggerimenti di traduzione. Per evitare i falsi amici o i calchi poco efficaci è comunque più utile confrontare le parole simili nei loro contesti d’uso nella lingua di partenza e in quella di arrivo.
Aggiornamento ottobre 2013 – Ho accennato a narrative anche in un contributo a uno speciale di lingua italiana del Portale Treccani, La narrativa di Obama non è in libreria: interferenze dell’inglese nella comunicazione, dove ho rilevato che nel giro di breve tempo in italiano si è ormai affermato il neologismo semantico narrazione, sempre più diffuso nel marketing e in altri ambiti in associazione a storytelling.
Aggiornamento aprile 2014 – Vedi anche Storytelling, una parola di moda e Storytelling: narrazione e affabulazione.
Silvia Pareschi:
Come spesso capita, il problema di una cattiva traduzione come questa è la convinzione che esista un rapporto 1:1 tra le parole – e i concetti – di due lingue diverse. “Narrative vuol dire questo e si traduce sempre così”. La necessità di rifarsi al contesto, e quindi di soffermarsi a riflettere sul significato della frase, sembra sfuggire completamente a quelli che scrivono in questo modo.
Luigi Muzii:
Cattiva traduzione? Lo sarebbe se a renderla fosse stato un professionista, ma non sembra questo il caso. Finché i traduttori non perderanno il vizio di guardare la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave nel proprio continueranno ad essere poco considerati.
Zanichelli ieri ha dedicato una pagina ad Anna Bissanti (http://goo.gl/KW0Ru), ma siamo proprio sicuri che le sue traduzioni siano proprio perfette? Per citare G.B. Shaw, “Those who can, do; those who can’t, teach”, o magari pretendono di insegnare…
Licia:
@Silvia, l’uso di narrativa "all’inglese", anche da parte di firme abbastanza note del giornalismo, continua a stupirmi perché mi aspetterei che nelle redazioni qualcuno si accorga che in italiano narrativa vuol dire tutt’altro.
Un’altra ipotesi è che nel gergo giornalistico italiano si stia cercando di dare questa nuova accezione narrativa ma che ci sia un difetto di comunicazione nel condividere l’informazione con i lettori. Il dubbio mi è venuto recentemente, sfogliando alcune copie della rivista di geopolitica Limes, dove è narrativa è ricorrente. Ho appena fatto una rapida ricerca che ha confermato questa mia impressione: è un termine molto diffuso, anche in contesti che non riguardano il mondo anglosassone. Un esempio sulla disputa diplomatica tra Grecia e Repubblica di Macedonia sull’uso del nome Macedonia:
Per la narrativa nazionale greca la regione della Macedonia appartiene, dai tempi di Alessandro il Grande ad oggi, alla nazione e alla cultura greca; di conseguenza l’assunzione del termine Macedonia da parte di un altro popolo sembra suscitare il timore di essere privati di una parte del proprio retaggio culturale, un timore avvertito soprattutto dagli abitanti della Grecia settentrionale. Non a caso Atene vorrebbe cambiare non solo il nome dello Stato macedone, ma anche i termini con cui designare la lingua e la nazionalità dei suoi abitanti, che per i greci non possono essere considerati semplicemente macedoni. [fonte]
Secondo me un lettore italiano che legge questo capoverso pensa solamente alla produzione letteraria greca, quindi a romanzi, racconti, fiabe (tra cui opere con fatti puramente immaginari), e non al significato “inglese” (il modo in cui viene presentata la questione macedone all’opinione pubblica greca), che andrebbe chiarito, come è stato fatto in questo esempio: La posta in gioco decisiva in Libia, come prima in Iraq o in Afghanistan, è il dominio della “narrativa”. Termine elegante con cui nelle accademie militari si qualifica la propaganda. [fonte]
Stefano:
Penso che tu abbia ragione ad avere dei dubbi, ma anche che in effetti stiamo assistendo all’adozione di un nuovo calco. Non so che storia abbia “narrative” in inglese, ma mi pare essere piuttosto recente; ma ha una spinta propulsiva fortissima perché consente a chi riporta quanto detto dai politici di ammantarsi di un’aura di obiettività (riporto la sua narrative, mica dico che è vero) senza dover usare formule direttamente dubitative come “sostiene che”, “ha dichiarato”.
Perché, in Italia, proprio ora e proprio adesso? Penso che abbia a che fare col fatto che, dopo il 1994, abbiamo cercato di emulare i sistemi politici bipolari (statunitense in primis) e di abbandonare l’aspetto partigiano della politica per abbracciare quello pratico (con che successo si può discutere, ma non è questa la sede); di riflesso, la stampa sta cercando di attrezzarsi ad affrontare la nuova situazione ricalcando (di nuovo, con che successo si può discutere) i modelli dell’informazione statunitense, compresi quelli linguistici. Per questo assistiamo all’adozione della nuova connotazione per “narrativa”, sia da parte dei giornalisti che di alcuni politici, che cercano di dare al proprio eloquio un tono di “internazionalità” (ho sentito Vendola farne frequente uso).
In pratica, mi sa che capitoleremo…
Stefano:
Dimenticavo un altro aspetto: i nostri organi di informazione, in primis quelli online, quasi non scrivono più una riga originale. Piuttosto, mettono praticanti sottopagati a confezionare velocemente la versione italiana di articoli prelevati qua e là dai media internazionali che ancora producono il loro contenuto (normalmente in inglese). Ci sta che, date le premesse, “narrativa” venga usato e abusato.
Licia:
@Stefano, anche secondo me negli ultimi anni in inglese narrative è diventato come il prezzemolo.
In italiano narrativa lo tengo d’occhio da un po’, da quanto l’avevo visto abusato quattro anni fa in un picco che coincideva con l’arrivo di Obama sulla scena internazionale. La mia impressione è che solo ultimamente sia apparsa anche l’alternativa narrazione, probabilmente perché finalmente c’è chi si rende conto che narrativa non funziona? La coesistenza di entrambe le denominazioni mi pare comunque un’ulteriore indicazione che in italiano il concetto non è affatto consolidato, ragione in più per spiegarne il significato, senza dare per scontato che tutti sappiano di cosa si tratti (ma forse anche le redazioni degli organi di informazione lo ignorano?).
Luigi Muzii:
Credo che “narrativa” sia un termine alla moda anche per gli americani. Un interessante articolo pubblicato ieri dall’Atlantic riporta il confronto tra il discorso preparato da Clinton e quello reso alla Convention. “Narrative” viene usato una sola volta, insieme a “Republican”, e ricorda molto l’uso che noi avremmo fatto di “retorica”, intrisi come siamo di cultura greco-latina. Semmai è su questo che dovremmo riflettere: stiamo perdendo le nostre radici? Per inciso, non sono certo quelle giudaico-cristiane…
Licia:
@Luigi Muzii, grazie del commento. Ne approfitto per chiarire che con inglese intendo sempre l’intero sistema linguistico e specificherei con un aggettivo (ad es. inglese britannico, inglese americano) se volessi indicare una varietà particolare.