Il doppiaggese

Il Portale Treccani parla di doppiaggio nello speciale Perdere la faccia, metterci la voce. Molto interessante Doppiaggese, filmese e lingua italiana di Fabio Rossi. Un estratto:

Lo scaricatore di porto parla come un lord

Indubbiamente il doppiaggese, vale a dire la varietà di lingua propria dei film doppiati, ha influenzato direttamente non soltanto l’intera lingua del cinema italiano (il cosiddetto filmese), ma anche l’italiano scritto e parlato tout court, e questo non tanto in virtù dei numerosi calchi, soprattutto dall’inglese, di cui son prodighi i nostri doppiatori (dacci un taglio,da cut it out, invece di piantala o finiscila; ci puoi scommettere!, da you bet!, o you can bet!, invece di senza dubbio!, naturalmente!, lo credo bene! e simili; e ancora non c’è problema invece di va bene; sono fiero invece di sono orgoglioso, mi fa piacere; tranquilli! invece di zitti!, silenzio! ecc.; dipartimento invece di ministero; realizzare invece di accorgersi, rendersi conto di; essere in condizione di fare anziché poter fare; suggestione invece di suggerimento, e tanti altri ancora), ma soprattutto per quella generale impressione di artificiosa formalità e azzeramento delle varietà tipica di quasi tutti i doppiaggi, nei quali lo scaricatore di porto parla come l’avvocato, al massimo con l’aggiunta del turpiloquio ma, ad accrescere l’inverosimiglianza dell’operazione, sempre in una dizione ineccepibile e scevra d’ogni inflessione regionale.

L’articolo continua con alcune considerazioni sull’adattamento culturale. Altri articoli aggiungono il punto di vista dei doppiatori e trattano di titoli di film, completando un altro speciale a cui avevo accennato in L’italiano del doppiaggio televisivo.


Vedi anche: sull’adattamento di riferimenti culturali, giochi di parole ed espressioni idiomatiche nel doppiaggio, Questioni di pane e di torte (Wallace & Gromit); sull’adattamento dei nomi, Il tenente Colombo, Dart Fener e l’orso Yoghi; sulla traduzione poco idiomatica delle parolacce come fucking (fottuto) e damned (dannato), Parole proibite alla TV americana e relativi link; sulla traduzione dei titoli dei film Distopia: Non lasciarmi [mai], Il discorso del re e Woody Allen, l’amore e il violino di Nerone.

Nuovo: A caccia di doppiaggese!

8 commenti su “Il doppiaggese”

  1. Silvia Pareschi:

    Grazie, Licia, interessante anche l’articolo sui titoli dei film. In realtà alcune delle espressioni citate (forse perché introdotte da più tempo) stridono meno all’orecchio di altre: penso a “dacci un taglio”, “ci puoi scommettere!”, “non c’è problema” e “sono fiero” (anzi, quest’ultima non mi sembra nemmeno un calco). Ma qui si torna al discorso di come cambia la lingua, e di quali cambiamenti vengano considerati “ammissibili” e perché.

  2. Licia:

    @Silvia, proprio così, come amministrazione riferito ai governi americani, da tempo ormai ci siamo abituati e non suona più strano.

    PS Però ci sarebbe stato bene un riferimento all’onnipresente pizza ai peperoni :-D.

  3. Riccardo:

    “come amministrazione riferito ai governi americani”

    In compenso troppi traduttori traducono sempre “government” con “governo” o, in senso attributivo come “governativo”: government employee -> *dipendente governativo (statale); government -> *governo (pubblica amministrazione); government officer -> *ufficiale governativo (funzionario pubblico); local government -> *governo locale (enti locali; amministrazione comunale, ecc.)

  4. Licia:

    grazie Riccardo, molti utili questi esempi, che dimostrano quanto sia importante ragionare sulle sfumature di significato nella lingua di arrivo, indipendentemente da quali siano le parole usate nella lingua di partenza.

  5. linus:

    Io sono dialoghista di doppiaggio. Se da una parte uno scaricatore non può né deve parlare come un lord (e quando succede vuol dire che l’adattatore non ha fatto bene il suo lavoro) dall’altra capisco una certa prudenza nell’uso di gergalismi, sintassi e forme tipicamente dialettali in quelle produzioni che usano un registro più realistico, perché fornirebbero informazioni devianti sui personaggi – magari che ne so, afroamericani o irlandesi. Lì se siamo bravi dobbiamo inventarcelo, il gergo (e non è facile). Altro è nei cartoni o nei film comici demenziali – dove un registro spesso surreale – vedi Simpson o l’Aereo più Pazzo del Mondo – consente delle scelte anche estranianti e più astratte. Dove insomma l’essere “fuori contesto” è – casomai – un valore aggiunto. Quanto al doppiaggese, stavo proprio pensando che a volte ci sono delle convenzioni che nascono (e muoiono) nel doppiaggese ma che sono molto utili: credo (non ne sono sicura) che la traduzione di “booze” in “bumba” sia nata e morta nelle sale di doppiaggio. Non si usa nella vita reale, ma quanto è comodo in certi casi!

  6. Licia:

    Grazie linus, mi fa molto piacere avere il tuo contributo. Condivido in pieno la riflessione sulla prudenza e immagino che valgano anche considerazioni diacroniche: se il film non richiede di essere connotato come appartenente a un preciso momento storico, ad es. quello attuale, forme colloquiali magari molto in auge al momento del doppiaggio potrebbero diventare presto obsolete, e a distanza di pochi anni potrebbero renderlo datato. È un potenziale problema anche per la traduzione letteraria e sarebbe interessante capire se potrebbe essere più evidente in un film, dove la lingua si “sente”, o in un romanzo, dove la lingua si “vede” “legge”.

  7. linus:

    Forse l’uso di gergalismi regionali (o – come giustamente fai notare – datati o troppo attuali) in un dialogo di un opera cine-televisiva rischia di portarsi dietro anche delle inflessioni, un modo di parlare, un sapore particolare. Probabilmente poi la dissonanza di un dialogo rispetto all’ambiente può essere più stridente in un opera cine-televisiva, essendo il contesto ambientale visibile e onnipresente e quindi eloquente e ineludibile, là dove in un opera letteraria è relegato al momento della narrazione, che occupa un tempo e uno spazio non contemporaneo al dialogo. Oltretutto, fortunatamente non sempre ma spesso, nel doppiaggio delle serie lunghe è proprio richiesto un linguaggio più neutro perchè la lavorazione richiede una certa standardizzazione: i vari episodi vengono adattati da quattro o cinque dialoghisti diversi che debbono sottostare alle richieste di censura o di semplificazione della committenza, filtrate e interpretate direttore, che a sua volta comunque – insieme all’assistente e agli attori – ha sempre una visione particolare e specifica.

  8. Licia:

    @linus, grazie per i dettagli. Non vado molto al cinema ma recentemente ho visto un film, doppiato, ambientato nell’Inghilterra vittoriana, e pensavo proprio al fatto che non si faceva il minimo caso alla lingua (a parte alcuni giochi di parole non riproducibili), segno che era stato fatto un ottimo lavoro di adattamento. Sapere che intervengono più dialoghisti, ma non si nota, è un’ulteriore conferma della professionalità che c’è nel settore, solo che, come spesso succede, poi si parla solo delle sbavature…

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