Senza contesto o conoscenze tecniche specifiche, quanti di noi saprebbero “tradurre” correttamente in italiano standard l’istruzione USARE SEMPRE IL FLUSSOMETRO?
Io interpreterei flussometro come “apparecchio per la misurazione del flusso di un liquido” ma farei un errore: quello che mi viene chiesto, molto più banalmente, è di tirare lo sciacquone dopo aver usufruito del bagno.
È un cartello che ho visto ieri nel bagno di un traghetto MOBY, posizionato sopra al water. Mi ha lasciata perplessa per la terminologia insolita, perlomeno prima di scoprire che in ambiti tecnici specifici si chiamano flussometri dei particolari tipi di rubinetti temporizzati per WC (esempio qui).
Mi sembra che in inglese il messaggio sia ancora meno chiaro, mentre in tedesco la semplice indicazione di premere è efficace (non viene specificato cosa ma non ci sono ambiguità: c’è un unico pulsante su una barra verticale, proprio sotto la freccia, e il contesto indica che si fa appello a norme di buona educazione. Nelle altre lingue, invece, il termine tecnico potrebbe far pensare che sia richiesta un’azione diversa da quella più ovvia).
Ho fotografato il cartello perché evidenzia la differenza tra lessico generico (parole) e lessico specializzato (termini che identificano concetti specifici usati in ambiti specifici) e l’importanza delle valutazioni terminologiche in base all’utente finale.
Un pubblico generico può includere bambini e persone non di madrelingua italiana o inglese che potrebbero non avere familiarità con gli elementi formanti colti di origine latina e greca. In questi casi la comunicazione può essere facilitata preferendo parole generiche, immediatamente comprensibili anche se meno specifiche, a termini tecnici più precisi, che invece potrebbero risultare oscuri e impedire di interpretare correttamente le avvertenze.
Ovviamente un’immagine funzionerebbe ancora meglio ed eviterebbe problemi linguistici e terminologici!
Vedi anche: Effetto mouseover: la "serrandina" e L’inglese di ATM: idea per storia dell’orrore per altri esempi di scelte terminologiche in base all’utente finale.
mav:
Ciao,
sono arrivato qui dal post di oggi e mi sono sorpreso molto.
Perché in tutte le case in cui ho abitato con i miei c’è sempre stato… il flussometro!
Ed è così che l’ho sempre chiamato finché non mi sono reso conto che si diceva solo a casa mia o quasi.
Il flussometro in questione non è un semplice pulsante per scaricare, ma una maniglia che va ruotata fino a 180 gradi, e che quindi permette di scaricare acqua con una portata per secondo che va da zero a max, con tutti i valori intermedi.
In pratica è un rubinetto (infatti dopo va richiuso).
Penso andasse di moda negli anni ’70, per lo meno più di adesso, e c’era perché mio padre lo faceva installare apposta; da quando ho lasciato casa dei miei l’ho incontrato molto raramente (e di bagni in 18 anni ne ho visti).
Riferito a questo oggetto la parola diventa giustificabile, perché seguirebbe il percorso di altre parole come “potenziometro”, passando quindi per estensione dall’indicare lo strumento per la misura del flusso a indicare lo strumento di regolazione del flusso.
In definitiva, secondo me chi ha scritto il cartello ha semplicemente usato la terminologia a lui familiare, senza rendersi conto che invece non è così diffusa, un po’ come nel caso del “pianeta Papalla” (non ricordo più in che post ne parlavi).
Per citare un caso analogo e personale, per noi siciliani la carpetta è un oggetto comunissimo.
Tutti sanno cos’è una carpetta.
Quando in cartoleria a Pisa ne ho chiesta una sono rimasti sbigottiti e lo sono rimasto anch’io quando ho scoperto che si trattava di una “voce di orig. merid.: cartella per documenti o per pratiche d’ufficio. [sp. carpeta, dal fr. carpette, a sua volta dall’it. antico carpita ‘coperta’, che risale al lat. carpere ‘cardare la lana’”.
Termine diffuso, ma non in tutta la penisola, un po’ come il toscano “popone” (e molti altri).
Saluti
Carmelo
Licia:
@mav, grazie per i dettagli, interessantissimi: come credo si sia capito da altri post, i regionalismi mi incuriosiscono molto (esempio: il pulsante TIRO ).
Diventa quindi molto probabile anche la tua ipotesi che la scelta per il cartello derivi da un uso comune locale che è passato a significare “meccanismo per azionare lo sciacquone”, quindi un esempio di determinologizzazione, il processo per cui un elemento lessicale che in origine aveva un significato fisso e specifico in un ambito specializzato entra nel linguaggio comune dove assume un significato più generico.
Non avevo mai sentito carpetta. 🙂 Per il romagnoli, un effetto simile lo fa sportina, il sacchetto di plastica dei supermercati.
mav:
Di regionalismi me ne vengono in mente troppi per un commento a un post.
Particolarmente degni di menzione:
sichinienza: di scarsa qualità/valore. Da “second-hand”, utilizzato dalle truppe dello Sbarco in Sicilia
iazzibanni: batteria (strumento musicale). Termine in disuso, lo utilizzano i nonni. Viene dal fatto che le prime batterie propriamente dette in circolazione nell’isola recassero quasi tutte la scritta frontale NomeDellaBand Jazz Band, e da lì all’identificare lo strumento musicale il passo è stato breve.
Altri tre spesso fonte di incomprensioni con i non siciliani:
non ci penso: non mi ricordo
non mi fido: non sono capace (di far qualcosa).
mòviti o muoviti (per contrazione anche muòti): stai fermo. Tutt’ora non mi spiego questo paradosso, ma vuol dire quello.
Tipico agrigentino, raccontato anche da Camilleri
Licia:
@mav, bellissimi, grazie! Veramente particolari quelli di derivazione americana, ma sono stati adattati “in loco” oppure presi direttamente dai soldati italo-americani?
A me aveva divertito molto anche “bussola dietro!” che veniva urlato al conducente degli autobus per fare aprire la porta posteriore, che avevo raccontato in un vecchio post, Regionalismi a Palermo. Si dice in tutta la Sicilia o solo lì?
mav:
I primi due in effetti sono più che altro dialettali, ma interessanti per la loro origine.
Un altro difficile da dimenticare anche dopo tanti anni passati altrove è: che ci fa?
Noi lo diciamo intendendo “che problema c’è?”.
Conversazione di cui sono stato testimone tra una calatina e una rosignanese.
R: Questo qui come regalo per X come ti sembra? Non sono convinta
C: Sì, che ci fa? (intendendo: “Va bene come regalo. Che problema c’è?”)
R: Hai ragione: che ci fa? (capendo, giustamente: “cosa se ne fa?”)
Licia:
@mav, bellissimo! Il mese prossimo sarò in vacanza in Sicilia, terrò le orecchie ben aperte. 😉