Quando si crea una raccolta terminologica, prima ancora di decidere la struttura dei dati è essenziale definirne scopo e destinatario, anche se si tratta di un glossario di poche decine di voci. Può sembrare ovvio, eppure ignorare queste indicazioni di base è spesso causa di raccolte non accurate e/o che non incontrano le aspettative dell’utente.
Ci pensavo dando un’occhiata a un sito italiano [non più disponibile] che si prefigge di contrastare l’uso smodato dei prestiti dall’inglese. Viene proposto un glossario il cui scopo è dare un “aiuto per vincere la pigrizia e riscoprire il vecchio amore per la nostra lingua” con “esempi delle parole inglesi più utilizzate e l’alternativa prevista invece dall’italiano”.
Ci si aspetterebbe un elenco di prestiti di lusso e corrispettivi sinonimi italiani intercambiabili, come weekend fine settimana, e che i prestiti di necessità (o forestierismi insostituibili) ne siano esclusi. Non è così, anzi, è difficile identificare i criteri di compilazione del glossario, e si rilevano invece problemi abbastanza tipici.
Alcuni esempi degli anglicismi, delle alternative italiane e dei contesti d’uso contenuti nel glossario:
- banner bandiera, striscione
[«Clicca sul banner»; «Pubblichiamo un banner sulla home page»]
In italiano banner condivide con l’inglese solo il significato nato in ambito informatico, “elemento grafico di una pagina web con funzione pubblicitaria”. La soluzione proposta dal glossario, invece, riporta altri significati non rilevanti. Andrebbe inoltre ricordato che il prestito è uno dei meccanismi di formazione di neologismi più comuni nei linguaggi specializzati perché la nuova parola acquisisce un valore monosemico (fa riferimento a un solo concetto) che evita ambiguità. - break frattura, rottura
[«Sono proprio stanca, è il momento di fare un break!»]
Nell’esempio citato, in italiano break significa “pausa” ed equivale a uno dei significati principali che ha la parola anche in inglese; non si capisce perché vengano proposti invece “frattura” e “rottura”, forse i primi traducenti trovati consultando un dizionario bilingue? - browser navigatore
[«Nel nostro sistema operativo è già incluso il browser»]
Anche in questo caso chi ha compilato il glossario sembra ignorare il valore monosemico che browser ha in italiano e che lo distingue immediatamente da altri concetti. “Navigatore”, invece, può essere ambiguo per la possibile confusione con il navigatore satellitare (ad es., se riferito a uno smartphone, come interpretereste la frase “il sistema operativo include il navigatore”?). - charity carità
[«Stasera partecipiamo a un concerto organizzato dalla Charity»]
In italiano charity può indicare un “ente benefico”, condividendo uno dei significati dell’inglese, o un “evento organizzato per raccogliere fondi da devolvere in beneficenza”, che invece è un falso amico. Nell’uso italiano charity non è mai sinonimo di carità e non avrebbe senso neanche nel contesto proposto. - core business nocciolo degli affari
[«Qual è il vostro core business?»]
Chi ha compilato il glossario sembra aver interpretato l’espressione come business core invece di core business, che in inglese descrive l’attività principale di un’impresa, ad es. per la Ferrero i prodotti a base di cioccolato ma non Cristallina. Una verifica con un motore di ricerca avrebbe comunque indicato che “nocciolo degli affari” non è una collocazione attestata in italiano. - spamming invio di grandi quantità di messaggi pubblicitari tramite posta elettronica
[«Ho dovuto cambiare indirizzo e-mail perché la mia casella era intasata dallo spamming»]
Anche spamming ha valore monosemico e ha il vantaggio della concisone: poco plausibile sostituirlo con una descrizione di 66 caratteri (spazi esclusi!), contro gli 8 di spamming o i 4 di spam, che ha una frequenza ancora più alta.
Credo che le imprecisioni, le incongruenze e i suggerimenti inadeguati osservabili per questi esempi dimostrino che lo scopo del glossario – fornire valide alternative “autoctone” alle parole inglesi abusate in italiano – non è stato rispettato.
Sono problemi non insoliti, che si riscontrano quando manca una formazione terminologica specifica, fino a non molto tempo fa insegnamento completamente assente dalle università italiane. Spesso viene chiesto a traduttori e mediatori linguistici di occuparsi di terminologia, anche se le competenze non si improvvisano e le esigenze, le finalità e gli approcci metodologici non sempre coincidono con quelli dei terminologi: diciamo che sono core business (!) diversi?
Analizzare esempi di errori non vuole quindi essere una critica verso chi li ha fatti ma un modo di condividere conoscenze. In questo caso ho cercato di sottolineare l’importanza di scopo e destinatario di una raccolta terminologica e di ricordare che nel lavoro terminologico si deve ragionare non tanto sui segni (le parole) ma sui concetti, sia nella lingua di partenza, con la selezione dei termini, che in quella di arrivo: i termini non si “traducono” ma va ricercata un’equivalenza dei concetti.
Vedi anche:
Alternative a blog, chat, newsletter, spamming? – 1, sui forestierismi insostituibili e la formazione di nuove parole,
Ancora sull’uso dello scanner, sui possibili meccanismi che portano alla prevalenza di un’opzione linguistica su altre disponibili.
linus:
Ottimo post. Quando si pensa poi a quanto certi forestierismi appiattiscono.. (educazione per “istruzione”, o “voli domestici” per “voli nazional” e orrore orrore “tecnicalità” al posto di “tecnicismo”…ma si potrebbe andare avanti per ore… quanto ai forestierismi “utili” mi spiace solo che prevalga la tendenza ad utilizzare termini stranieri senza digerirli. Perchè Computer e non “compiutero”? In fondo la bistecca fu una beef steak, un tempo…
Licia:
@linus: anch’io domestico non lo sopporto proprio!!
Credo che la tendenza nell’italiano contemporaneo sia per i prestiti non integrati, forse dovuta a una maggiore conoscenza (o presunta tale!) delle lingue straniere, quindi una specie di snobismo linguistico?
La distinzione classica è tra prestiti integrati / non integrati (o adattati / non adattati) ma si discute anche di prestito acclimatato, quando si mantiene l’ortografia e, nelle intenzioni dei parlanti, anche la pronuncia originale, che in realtà viene condizionata dall’intonazione e dalla fonologia della propria lingua, quindi per noi italiani hardware non è /ˈhɑːdwɛə/ come in inglese ma è diventato /ˈardwer/. Ne avevo accennato in Parla come mangi 1.
Buon fine settimana! (ebbene sì, io continuo a ostinarmi a non dire weekend 😉 )
linus:
Ah, vado a leggere, grazie! 🙂
rossa:
Sì, il discorso è molto serio, ma la versione che hanno dato di break è assurda: anche un bambino di quinta elementare avrebbe suggerito “pausa”, quando mai noi parlando in italiano usiamo break per frattura/rottura/interruzione?