I 150 anni dell’unità d’Italia stanno dando l’occasione di parlare dell’italiano come lingua nazionale. Ho letto parecchi interventi che mettono in evidenza l’unità linguistico-letteraria come fattore chiave per il conseguimento dell’unità politica e tra i tanti ho trovato efficace la sintesi di Gianluigi Beccaria in Fatta l’Italia, trovato l’italiano, che si conclude così:
Comunque sia andata, noi ci riconosciamo però, da secoli, in questa grande ricca duttile nostra lingua italiana, il cui effetto aggregante ha contribuito, più di altri fattori, al riconoscimento di un’unità nazionale. Da noi per prima è venuta la lingua. Non c’era ancora la nazione, ma da secoli esisteva un’unità linguistico-letteraria nazionale. La coscienza e la volontà di un’unione si è basata soprattutto su un valore culturale (la lingua della letteratura, la sua validità e la sua tenuta) che ha prefigurato sin dalle Origini un’unità immaginata e inseguita come un desiderio. |
Interessante anche Fratelli d’Italia, la lingua s’è desta, un articolo che accenna ad alcuni interventi al convegno La lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale riprendendo la citatissima stima di Tullio De Mauro che 150 anni fa solo il 2,5% degli italiani utilizzava compiutamente la lingua nazionale e “un altro 6,5% era in grado di comprenderla senza parlarla, mentre il 78% della popolazione era totalmente analfabeta e capace di esprimersi unicamente in dialetto”. Ora invece il 94% degli italiani “abitualmente o no, conservando o no modi regionali e il dialetto nativo, converge verso l’italiano”.
Questi e altri dati anche in Italiano e dialetto dal 1861 a oggi di Pietro Trifone, che riporta come altri studiosi stimino al 10% il numero di italofoni di 150 anni fa: indipendentemente dal dato di partenza, è stato fatto un progresso incredibile!
Di tutt’altro genere e un po’ inquietante, invece, la riflessione di Gustavo Zagrebelsky nel saggio Sulla lingua del tempo presente (2010) a proposito della “presenza sovrabbondante del lessico di Berlusconi, dei suoi uomini, e dei loro mezzi di comunicazione di massa, che parlano come lui” nella lingua dei canali comunicativi:
L’uniformità della lingua, l’assenza di parole nuove, l’ossessiva concentrazione su parole vecchie e la continua ripetizione, sintomi di demenza senile, sono tali certo da produrre noia, distacco, ironia e pena ma – cosa molto più grave – sono il segno di malattia degenerativa della vita pubblica che si esprime, come sempre i questi casi, in un linguaggio stereotipato e kitsch, proprio per questo largamente diffuso e bene accolto. |
Ma almeno oggi cerchiamo di non essere troppo pessimisti: Buon compleanno, Italia!
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Aggiornamento 18 marzo: facendo una valutazione dell’italiano contemporaneo, anche la linguista Valeria Della Valle evidenzia una peculiarità molto citata: la nostra è una lingua formata su base letteraria che le ha consentito, nei secoli, di rimanere molto simile alla lingua delle origini, caratteristica unica che non si riscontra in altri paesi.
[ Via La compagnia del libro. Un grazie ad Ale per la segnalazione ]
Aggiornamento 18 giugno: un editoriale del Corriere della Sera riflette sul “lessico incontrollato del centrodestra” in Gli estremisti del linguaggio.
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