In The Guardian oggi c’è una breve intervista con Nicholas Ostler, autore di The Last Lingua Franca, un libro che propone una teoria controversa sul futuro della lingua inglese: è destinata a fare la fine di persiano, sanscrito e latino e diventare una lingua morta.
L’enorme diffusione dell’inglese a livello globale è incontrovertibile, basti pensare a settori come l’economia, la scienza, l’informatica, l’intrattenimento. Spesso però si tratta di globish, l’inglese semplificato usato internazionalmente tra parlanti non di madrelingua.
Il globish è essenzialmente una lingua franca, che si impara consapevolmente, per necessità, quindi il contrario di una lingua nativa (madrelingua), che si apprende naturalmente, si usa per comunicare con i bambini e fa parte della propria cultura.
Solo le lingue native sono destinate a durare a lungo termine, proprio perché radicate, mentre una delle principali limitazioni delle lingue franche è che durano solamente finché hanno un’utilità pratica. Sono inoltre condizionate da altri fattori, ad es. politici ed economici ma anche tecnologici.
Negli ultimi quattro secoli, l’inglese è stata la lingua delle potenze dominanti ma ora Brasile, Russia e Cina, paesi in cui la lingua inglese non è rilevante, stanno avendo un ruolo sempre maggiore sulla scena mondiale. E la tecnologia sta cambiando le nostre modalità di fruizione e interazione con le altre lingue, basti pensare ai continui miglioramenti della traduzione automatica e alla sua disponibilità anche per coppie di lingue considerate insolite, per cui la necessità di una lingua di comunicazione globale sarà sempre meno pressante.
In conclusione, il messaggio di Ostler è che l’inglese ora è al suo acme ma in futuro potrebbe iniziare il suo declino, come è stato per le altre lingue che, in passato, avevano dominato il mondo.
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Aggiornamento – Per una recensione dettagliata del libro di Ostler: Back to Babel.
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a George:
come mai “Nessun commento” con un tale rischio? L’inglese diviene il latino del futuro; le lingue vive romanesche portano ciò che rimane. Uinni de Puh.
Licia:
@ a George: forse perché in giro ci sono notizie ben più “provocanti” di questa?!? 😉
a George:
Questo non vuole dire che l’importanza della comprensione totale della lingua nel quale si esprime è svanito. Come si può probabilmente vedere dalle mie commenti non ho una padronanza perfetta dell’italiano. Dall’altro lato conosco e parlo parecchie lingue. Qui voglio dare un piccolo racconto dal vivo di che cosa succede quando un utente di inglese effettivamente non ha saputo che cosa ha scritto.
Si tratta di un capo di archivio austriaco molto attivo in lavoro archivistico internazionale. Era collaboratore ed editore di un testo NGO piuttosto filosofico/tecnico in inglese scritto in comitato – eravamo in sei. Il suo inglese qualche volta poco esatto fu corretto da un proprio inglese per la pubblicazione del testo. Dopo qualche anno esisteva un desiderio di fare traduzioni in altre lingue. Come capace in parecchie lingue ho fatto parte del gruppo assistente con la critica. Il capo ha fatto la versione tedesca insieme ad altri con tedesco come lingua materna. Ma questa versione era piena di errori del tipo cause-effect; la logica originale mancava. Come testo la versione tedesca è logica, esprime una certa filosofia, ma non quella dell’originale. Io facevo un’analisi ed una discussione molto profonda, ma non ha cambiato nulla. La mia conclusione era che il capo ha sempre creduto che ciò che era scritto nel testo inglese era infatti questo che ha dato in tedesco – la sua comprensione dell’inglese era infatti insufficiente per fare una traduzione, ma anche per collaborare ad un originale in inglese. Per lui anche un testo correttisimo in inglese non davevo senso. Che cosa si fa? Per raggioni politici, la versione tedesca rimane, ma tutti le versioni nelle diverse lingue portano il testino “In caso di dubbi, la versione originale è quella in lingua inglese, ed è reperibile sul sito . . . .”. Ma chi dubbierebbe? Come risultato finale mi sono rimosso dal NGO – perdita di tempo.
Licia:
@ a George: grazie del commento e dell’esempio.
Mi viene in mente un episodio molto più banale ma che aveva avuto parecchie conseguenze, quando in un ambito internazionale che aveva l’inglese come lingua comune era stato spostato un appuntamento importante e la comunicazione era stata fatta usando il verbo bring forward seguito dal giorno della settimana (tipo to Thursday), senza indicare la data: molte delle persone non di madrelingua avevano interpretato letteralmente pensando che fosse stato posticipato (forward di solito indica movimento in avanti o verso il futuro) anziché anticipato e non si erano presentate…
a George:
@Licia: come penso io sempre una direzione positivo verso il futuro dell’asse temporale, questa “abitudine stupida” degli inglesi mi da fastidio. “half nine” non è molto meglio!
Secondo me, i dubbi sono essenziali. Dall’altro lato, meglio un errore troppo, invece di mancanza di comunicazione.