Ne parlavo recentemente con amici veneti: chi ha vissuto nel nord-est sa che il freschìn (italianizzato in freschino) è quell’odore molto sgradevole che rimane sulle stoviglie che sono venute a contatto con uova crude o pesce e che poi sono state lavate con acqua calda (si elimina con limone o aceto in acqua fredda).
È un odore molto tipico, eppure non esiste una parola equivalente a freschin nell’italiano standard ma solo in dialetti e varianti regionali: un articolo dell’Accademia della Crusca dà alcuni riferimenti etimologici e nota che freschetto e frescume sono attestati a Roma e renfrescümme in alcune zone della Liguria (anche frescümassu dalle parti di Imperia).
Carlo Caverni nel portale Treccani spiega così l’assenza di un equivalente italiano:
[…] . Ogni lingua (e il dialetto, dal punto di vista funzionale, per molti aspetti è una lingua a sé), in realtà, rappresenta un’autonoma e originale organizzazione concettuale del mondo, condizionata da fattori extra-linguistici (sociali e culturali, sedimentati nel tempo), che interpreta i dati della realtà in un certo modo, non per forza condiviso da altre lingue. […] Il freschino veneto si caratterizza per esprimere un certo modo di interpretare una certa porzione di realtà (costruita attraverso l’incontro di varie tipologie, unificate dall’elemento “odore di un certo tipo”) con un dato segno linguistico; mentre altri italiani regionali e l’italiano standard stesso non hanno fatto da veicolo a una percezione culturale specifica di quella porzione di mondo, non hanno dunque ritagliato in forma linguistica quella determinata porzione di mondo selezionata in base all’indicatore “odore di un certo tipo”.
Anche in molte altre lingue non esiste una parola specifica, come avevo scoperto tempo fa chiedendo a colleghi di una ventina di paesi europei e asiatici. La cosa che più mi aveva colpita era che solo le persone che parlavano una lingua in cui c’era una parola equivalente a freschin (nel mio campione, una cinese e una libanese) avevano capito immediatamente cosa intendessi, mentre le altre sembrava ignorassero del tutto che uova e pesce possono lasciare un odore sgradevole sulle stoviglie.
Scherzando, io e una collega argentina (che parlava dialetto veneto!) avevamo concluso che magari poteva esserci una spiegazione biologica: se c’è un gene che determina la percezione dell’amaro della feniltiocarbammide e un altro che fa trovare disgustoso il coriandolo, potrebbe essercene uno per sentire l’odore di freschin e quindi solo le popolazioni geneticamente predisposte avrebbero sviluppato questo concetto e coniato una parola per descriverlo.
Ipotesi strampalata, ma forse non così totalmente assurda se si pensa alle ricerche che fanno risalire la diversità linguistica non solo a fattori storici, sociali e culturali ma anche a fattori ambientali e naturali…
Nuovo post (2019): Anna D’Errico: Le parole dell’olfatto…, l’intervento di una neuroscienziata sui diversi aspetti di tipo biologico, psicologico e culturale che possono intervenire nella percezione degli odori e che possono riflettersi anche nella lingua.
Nota Due degli articoli citati fanno riferimento agli innumerevoli nomi che gli esquimesi darebbero alla neve, ma si tratta di una bufala, smascherata ormai una ventina di anni fa dal linguista Geoffrey K. Pullum in The great Eskimo vocabulary hoax.
Ho scoperto anche una voce di Wikipedia in dialetto vicentino che fa vari esempi, tra cui quello del cattivo odore della biancheria che nelle giornate di maltempo fa fatica ad asciugare e viene raccolta ancora bagnata: quando che te stendi ea biancaria fora, magari un di’ che ghe xe nuvolo e che ea roba la fa fadiga a sugarse, se te la tiri dentro ‘ncora moja e te la snaxi, te vien da dire: “Madona, senti che spussa da freschin!” [moja = bagnata; snaxi = annusi]. Segnala anche che è un odore in un certo senso simile a quello del cane bagnato, che si chiama invece spussa de cagnòn.
Neutron:
Nel mio dialetto, una variante del lombardo occidentale ossolano fortemente influenzata dal novarese, si dice che le stoviglie con quell’odoraccio “sanno d’acqua marcia”.
Ogni somiglianza con omonimi acquedotti romani è puramente accidentale.
Ilaria:
In Tamil, kaviccu.
Giuseppe Virzì:
In quanto ad attribuzione di responsabilità devo dire che mi trovo molto confuso tra quali siano le cause e quali gli effetti.
Le differenze genetiche possono senza dubbio giustificare una particolare predisposizione alla percezione di una “determinata porzione di mondo”.
Avvalendoci dei nostri sensi abbiamo, nel corso della nostra storia evolutiva, potuto costruire un modello della realtà che ci circonda e grazie al linguaggio abbiamo potuto trasferire questa conoscenza in senso spaziale ad altri individui ed in senso temporale alle nuove generazioni.
Ma a differenza di altre specie, forse, abbiamo la peculiarità di aver compreso che i nostri sensi ci danno solo qualche faccia del cristallo della realtà in cui viviamo e questa consapevolezza ci spinge a creare nuove protesi sensoriali che possano aiutarci a completare il puzzle. Il linguaggio allora acquista nuovi termini per descrivere ciò che il nostro DNA non ci ha permesso di percepire e in questo caso la provenienza è di origine culturale-geografica più che biologica.
A volte penso che sia una concorrenza di fattori, ognuno caratterizzato da una propria frequenza, a determinare l’associazione di un segno linguistico ad una faccia del cristallo, e questo rende molto difficle capire se sono gli individui che con il proprio carico genetico costituiscono popolazioni, culture, paesi, etnie o se siano cultura, provenienza, appartenenza ad un gruppo linguistico a determinare l’affermazione di un certo assetto genetico.
Licia:
Grazie per tutti i commenti.
A proposito di linguistica a genetica, qualche anno fa ho letto Geni, popoli e lingue di Luigi Luca Cavalli-Sforza, un libro che si sofferma sulle affinità linguistiche e genetiche tra popolazioni: interessante vedere come gli studi sulle variazioni del DNA consentano di analizzare l’evoluzione umana non solo da un punto di vista prettamente biologico, ma anche di formulare ipotesi storiche sulle migrazioni delle popolazioni e sulla diffusione delle innovazioni e della cultura, strettamente legate allo sviluppo del linguaggio. Le corrispondenze tra evoluzione genetica ed evoluzione delle principali macrofamiglie linguistiche sono davvero incredibili.
Francesco:
Ciao.. ho appena letto l’articolo, ed oltre a non trovarmi d’accordo sula teoria che le diversita linguistiche dipendono anche da fattori genetici, volevo apportare la variante siciliana, questo stesso odore infatti si definisce ‘fetu di buriddu’, fetu significa puzza, cattivo odore, e buriddu si riferisce proprio a quell’odore descritto, si puo utilizzare anche per altre cose, per esempio a volte quando si lava il pavimento senza sapone, esce un odore molto simile, e per questo utilizzato anche in questo caso. Quindi in Sicilia, o almeno a Catania non si ignora questo fenomeno, non posso dire lo stesso per la Spagna, perché neanche in spagnolo standard esiste una parola per descriverlo.
Francesco
Licia:
@Francesco, grazie per il contributo siciliano.
Per evitare fraintendimenti, chiarisco che la teoria “genetica” non va presa troppo sul serio. 😉
Cucina d’inverno | Ilaria Dal Brun – traduzione e comunicazione
[…] affascinante che il termine veneto freschin (a indicare l’odore sgradevole che rimane su bicchieri e stoviglie entrati a contatto con pesce o uova)* non abbia un traducente preciso in italiano, ma ce l’abbia in lingua tamil!
— * Ne parla Licia in questo post […]
Salvatore:
Ciao gente, io abito e sono nato in Olanda. I miei vengono della sicilia, citta Catania. a me mi sembrava sempre strano che non ce un olandese che conosce quest’ odore. I miei, e anche i miei sorelli invece li conoscono quel odore cattivo. Io, se sento quel odore, per esempio da un piatto da dove sto mangiando, mi viene da vomitare e non posso mangiare piu. Io ho sempre pensato che e veramente una cosa del DNA. Pensateci che e un odore che viene sempre da uova o pollo. non puo essere che noi conosciamo quel odore perche ci protegge da mangiare qualcosa che non si puo mangiare (per esempio per proteggerci dal Salmonella?)
Licia:
Grazie Salvatore. Confermi la mia esperienza che chi non ha una parola per questo odore fa fatica a capire cosa si intenda quando lo si descrive.