Grazie a varie segnalazioni ho letto Language lessons: You are what you speak in New Scientist, un articolo che riassume alcune delle ultime tendenze della ricerca sulla diversità linguistica e fa molti esempi interessanti da varie lingue.
Viene messa in questione l’idea della grammatica universale, una struttura profonda comune a tutte le lingue e determinata da meccanismi biologici e genetici innati, e viene invece suggerito che ad essere innati sono gli strumenti di apprendimento: il cervello umano non sarebbe preprogrammato con regole linguistiche astratte comuni a tutte le lingue (gli universali linguistici) ma avrebbe invece strutture e meccanismi standard che portano ad adottare soluzioni e tendenze comuni condivise da molte lingue ma anche a peculiarità specifiche originate da tipi diversi di input.
La diversità linguistica e le caratteristiche uniche di molte lingue sarebbero così dovute a fattori di tipo ambientale, storico, sociale e naturale: ad esempio viene citata l’altissima incidenza di otite media cronica in una zona dell’Australia che potrebbe avere influenzato la fonologia della lingua aborigena locale, in cui mancano suoni comuni alla maggior parte delle lingue ma difficili da distinguere per chi soffre di infiammazioni dell’orecchio medio.
Si arriva così alla possibile conclusione che il cervello di chi parla lingue diverse avrebbe “impostazioni” diverse e quindi il nostro modo di essere e pensare è influenzato dalla lingua (o dalle lingue) con cui siamo cresciuti: dimmi che lingua parli e ti dirò chi sei!
Anche se l’articolo non ne accenna, viene in mente l’Ipotesi di Sapir-Whorf (relatività linguistica), molto bistrattata nei decenni scorsi ma ultimamente di nuovo presa in considerazione.
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Vedi anche: hard-wired e La mente: foglio di calcolo o motore di ricerca? (metafore per spiegare il cervello umano) e Relatività linguistica e suffisso inglese -ette (un accenno all’ipotesi di Sapir-Whorf).
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